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da Gazzetta ambiente (Anno 2000 N.1 gen-feb)
Presentazione: declino e rinascita di un mezzo antico
La bicicletta, nel periodo a cavallo tra la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento, è stata il mezzo di trasporto privilegiato dei nostri nonni: solida, poco costosa, facilmente riparabile, non richiedeva né grandi spazi per essere ricoverata, né grosse abilità e competenze per essere guidata.
Nel dopoguerra abbiamo avuto il boom economico, il cui adeguato corollario è stata la motorizzazione di massa, la bicicletta ha sofferto la concorrenza spietata dei nuovi bisogni indotti, la progressiva marginalizzazione degli spazi sulla rete viaria e il crollo dell'appeal, nell'immaginario collettivo, proprio di un veicolo semplice, economico, silenzioso.
Col tempo, però, molte cose sono cambiate, molte scelte dettate dal mito della modernità si sono rivelate affrettate.
L'automobile e gli altri veicoli a motore, dapprima mezzi di spostamento e trasporto, poi sempre più "status symbol", fino a diventare una scelta obbligata a causa di politiche dei trasporti sistematicamente tese a favorire il trasporto privato su gomma, hanno progressivamente estromesso tutti gli altri veicoli dalle strade, rendendo queste ultime ostili, inquinate e pericolose per tutti gli altri utenti.
Parallelamente, gli spazi dei centri urbani, sviluppatisi e strutturatisi in epoche nelle quali al massimo poteva transitarvi una carrozza ogni tanto, sono stati invasi da migliaia, milioni di autovetture in sosta, che hanno prodotto il restringimento delle carreggiate, con le conseguenti congestioni, e l'estromissione dei pedoni finanche dagli spazi a loro riservati.
Per far fronte a questo progressivo degrado nella vivibilità dei centri urbani e delle aree limitrofe, le pubbliche amministrazioni di realtà socialmente ed urbanisticamente più avanzate del nord Europa (come pure di piccole "isole felici" italiane), sull'onda della pressione di un'opinione pubblica sicuramente più attenta agli aspetti della qualità della vita e alle tematiche ambientali, stanno da anni operando in direzione di una riorganizzazione complessiva dei trasporti.
Le parole d'ordine di questa rinnovata attenzione alla qualità degli ambienti urbani sono "trasporto sostenibile", "intermodalità", "moderazione del traffico".
In un contesto urbano riqualificato e maggiormente a misura di cittadino la bicicletta ritrova la sua originaria funzione di mezzo di trasporto, aiutata in ciò anche dall'evoluzione tecnica che ne ha aumentato a dismisura flessibilità di utilizzo e potenzialità.
Chi non ha consuetudine con la bicicletta ha infatti ancora in mente le bici sulle quali ha passato gli anni spensierati della propria gioventù, e ricorda mezzi pesanti, sgraziati e privi di cambio, sui quali ogni spostamento non strettamente in pianura comportava fatiche inenarrabili.
Negli ultimi anni, tuttavia, la diffusione della "mountain bike" ha fatto scoprire a molti non tanto le biciclette "da fuoristrada" in senso stretto, quanto l'idea di un veicolo a propulsione umana in grado di affrontare qualunque terreno, di arrivare ovunque, con ruote larghe per non perdere mai la presa, con una scalatura di marce molto più estesa del normale per rendere percorribili anche le salite più impervie, con una geometria finalmente pensata per offrire il massimo della comodità e del controllo del mezzo, con una struttura robusta e in grado di consentire il trasporto di bagagli.
In sella a tali biciclette molti di noi hanno cominciato a percorrere per turismo le strade secondarie, i viottoli di campagna, i sentieri montani e, col progressivo crescere della fiducia nel veicolo e nelle proprie possibilità, anche viaggi di diverse settimane nel nostro ed in altri paesi.
Questo tipo di esperienza ci ha consentito di comprendere a fondo quanto le potenzialità della bicicletta, intesa nella sua natura di mezzo di trasporto, siano, nel nostro paese, enormemente sottovalutate.
Un dato fra tutti: nelle nostre città il 50% degli spostamenti avviene su distanze inferiori a 5 km!
Su percorsi di quest'ordine di grandezza la bicicletta sarebbe già da ora competitiva con l'automobile, considerando che la velocità del traffico motorizzato, nelle ore di punta, scende anche al di sotto dei 10 km l'ora, se non fosse che le condizioni imposte del traffico veicolare, rumoroso, nocivo ed altamente pericoloso per gli utenti non protetti, e l'assenza di una viabilità riservata agiscono da potente deterrente.
In questo caso l'esperienza straniera dimostra che sono sufficienti pochi e semplici interventi (non necessariamente costose e poco popolari piste ciclabili in sede propria, bensì marciapiedi più larghi con sedi riservate e scivoli per salire e scendere, zone a traffico ridotto o rallentato, solo per citarne alcuni) per consentire a chi lo desideri di spostarsi efficientemente ed in tutta tranquillità in bicicletta, oltretutto alleggerendo il carico di veicoli motorizzati sulle vie di transito.
Chi va in bici: ritratto di un'utenza in crescita
Nonostante i problemi ingenerati dal traffico motorizzato si assiste, in tempi recenti, ad una crescita nel numero di persone che si avvicinano all'uso della bicicletta, anche al di fuori degli ambiti strettamente agonistici che hanno monopolizzato il settore fino a pochissimi anni fa.
Non bisogna infatti trascurare la grandissima tradizione italiana nel ciclismo sportivo, che non ha però mai prodotto nulla al di fuori del contesto puramente competitivo, o comunque non ha contribuito affatto (semmai, anzi, ha nuociuto) all'affermazione della bicicletta come mezzo di trasporto per tutti, relegandola ad un "olimpo" di superuomini (e superdonne) in accanita competizione.
Il fatto di operare in un'associazione che si pone come finalità la promozione dell'uso della bicicletta ci colloca in una condizione di "osservatorio privilegiato", dal momento che è ad associazioni come la nostra, ormai presenti in gran parte del territorio italiano, che i neo-ciclisti fanno riferimento.
Risulta, sulla base della nostra esperienza diretta, che l'incontro tra il cittadino medio e la bicicletta avviene in maniera il più delle volte casuale.
Quasi tutti hanno infatti un primo "approccio" al veicolo in età infantile, cosa che, per la bassissima qualità di tali bici ed i limiti di autonomia imposti dai genitori (che spesso accompagnano i figli a piedi e non li lasciano allontanare, mortificandone le possibilità di spostamento) contribuisce a consolidare l'idea della bicicletta come una sorta di "giocattolo", da abbandonare in favore dei veicoli "seri" con il passaggio all'età adulta.
Dopo aver per anni "giocato" con le proprie biciclette, spesso riducendole ai minimi termini per incuria od ignoranza, una volta arrivati all'adolescenza, prima il ciclomotore, poi l'automobile, dominano incontrastati l'immaginario giovanile.
Paradossalmente è proprio con il passare degli anni che si verifica il "ritorno" alla bici, che non di rado avviene in età anche molto avanzata.
Può essere significativa la considerazione espressa da un operatore economico del settore, secondo il quale: "A diciott'anni vogliono tutti l'automobile. Intorno ai venticinque cominciano a non poterne più del traffico e si comprano il ciclomotore. Dai trenta in su riusciamo a vendergli le biciclette!".
Le motivazioni della riscoperta della bici sono quasi sempre casuali: c'è chi comincia ad usarla dietro consiglio del medico curante per la riabilitazione di traumi articolari, o come affiancamento di regimi dietetici, e chi per l'invito e l'emulazione di amici; rarissimamente ciò avviene per scelta precisa e consapevole dell'uso che se ne andrà a fare.
È da rilevare infatti, con profondo rammarico, come la percezione della bicicletta, nell'immaginario collettivo, sia quella di un veicolo "vecchio" (la "vecchia bicicletta": così una giornalista televisiva la definiva in occasione di un servizio sulle giornate di limitazione del traffico), tecnologicamente arcaico (come quella anteguerra inforcata da una sorta di prete-detective in una recente fiction televisiva), defatigante ("grazie" anche ai campioni del ciclismo sportivo che vendono la propria immagine all'industria dell'automobile).
Dato sicuramente non secondario è la pressoché totale assenza della bicicletta dagli spazi pubblicitari nei media, massivamente invasi, per contro, da giovani e anziani "di successo" alla guida di ogni sorta di automobile.
Dopo la prima fase dell'infanzia, caratterizzata spesso da un "imprinting" non particolarmente felice, il ritorno alla bicicletta passa inevitabilmente attraverso una "riscoperta" del veicolo, è tipico infatti registrare lo stupore dei "neofiti" nei confronti delle bici dei ciclisti più esperti, molto lontane, in termini di funzionalità e comodità, da quelle che hanno accompagnato la loro infanzia (e spesso, purtroppo, da quelle che hanno appena acquistato).
È indubbio, perciò, che la crescita di una conoscenza diffusa della bicicletta e delle sue potenzialità produrrebbe un suo maggiore utilizzo da parte di una percentuale significativa della popolazione, che attualmente ne ignora le possibilità.
A seguito di ciò si avrebbero positive ricadute in termini di riduzione del traffico motorizzato, che porterebbe con sé un significativo abbattimento dei consumi energetici e dell'inquinamento ambientale ed acustico, la parziale decongestione dei centri urbani, ormai prossimi al collasso, e il miglioramento della salute collettiva e della qualità della vita.
La bicicletta oggi: un sistema di locomozione radicalmente trasformato
Abbiamo già accennato alla rivoluzione prodotta dall'affermarsi delle mountain-bikes (abbreviato: "Mtb", o, per maggior precisione Atb, "all terrain bikes", biciclette per tutti i terreni), vorremmo qui approfondire l'argomento.
È infatti nostra convinzione, maturata in anni di lavoro sul campo, che un grosso disincentivo all'uso quotidiano della bicicletta e alla pratica del cicloturismo e del cicloescursionismo derivi dalla scarsa conoscenza che di questo veicolo hanno i non utenti.
Facciamo un esempio: chi acquisterebbe per nuova un'automobile costruita in base agli standards tecnologici degli anni '20? Presumibilmente nessuno, perché tecnologicamente obsoleta.
Al contrario, biciclette con una tecnologia analogamente datata sono correntemente poste in vendita ed acquistate, questo perché, da parte degli acquirenti, non esiste la percezione degli enormi progressi operati su questi veicoli negli ultimi decenni.
Parimenti non esiste la percezione che un mezzo destinato a viaggiare debba rispondere a requisiti minimi, come efficienza dell'impianto frenante, funzionalità del cambio e comodità di guida, perché, letteralmente, queste categorie di pensiero non vengono, nell'immaginario collettivo, applicate alle biciclette (fatta eccezione per quelle considerate "da competizione") e come tali non vengono pretese al momento dell'acquisto.
Paradossalmente, laddove nessuno acquisterebbe un'automobile con una sola marcia (poniamo la terza), moltissimi trovano normale acquistare biciclette senza cambio, eppure i limiti sofferti in termini di riduzione delle prestazioni (penso alle salite che non si possono affrontare, non disponendo dei rapporti più corti) sono esattamente gli stessi, forse addirittura maggiori.
In breve si può affermare che uno dei principali problemi consiste nel fatto che tutti sono convinti di sapere cos'è una bicicletta, mentre solo pochissimi hanno provato, in vita loro, l'esperienza di una bicicletta realmente funzionante.
È superfluo affermare che chi fa l'esperienza di una bicicletta "di classe" difficilmente riesce a sottrarsi al suo fascino.
Vediamo perciò quanto e come è cambiata la bicicletta negli ultimi anni.
Innanzitutto le parti strutturali hanno visto il tramonto del ferro, materiale rigido, pesante e suscettibile di ossidazione, e di contro l'affermazione delle leghe leggere a base di alluminio e degli acciai speciali.
Sull'onda del successo delle bici da fuoristrada il meccanismo del cambio ha subìto una rapida evoluzione, passando dalle scomode levette poste sul telaio delle vecchie bici da corsa, con una scelta di rapporti limitata e adatta principalmente alle competizioni, a pratici ed ergonomici comandi collocati sul manubrio, di uso intuitivo e dotati di una scalatura di rapporti molto più estesa e tale da consentire anche a ciclisti non allenati di affrontare salite impervie.
Un grosso lavoro è stato fatto anche per quanto riguarda il comfort di guida e la facilità di controllo del veicolo, anche se tali perfezionamenti si individuano di preferenza sulle biciclette di fascia medio-alta, e non tanto perché sia problematico introdurli sulle bici economiche, bensì perché la "domanda" del mercato, essendo come già detto formulata da persone scarsamente competenti, risulta viziata all'origine.
La maggior parte delle persone che non hanno familiarità con la bicicletta ne hanno infatti un'idea distorta, spesso obsoleta, che li orienta verso veicoli poco funzionali e dalla forma clamorosamente sbagliata.
Ad esempio è tipico incontrare chi richiede una geometria della bicicletta nella quale la posizione del busto sia eretta, con i manubrio alto e la sella bassa, quando, per contro, da un punto di vista strettamente ergonomico e di efficienza della pedalata la posizione del busto deve essere inclinata in avanti e le gambe devono potersi distendere quasi completamente.
A ciò si aggiunga l'impreparazione dei commercianti, spesso più orientati ad ottenere un guadagno facile e di breve respiro piuttosto che a creare le condizioni per una crescita culturale del cliente, e più in generale della conoscenza, dell'uso e della diffusione della bicicletta.
Altro limite culturale riguarda il valore commerciale associato alla bicicletta, che viene in genere sistematicamente sottostimato dagli acquirenti inesperti, al punto che spesso questi ultimi si orientano verso un prodotto scadente non tanto perché consapevoli di effettuare un acquisto di bassissima qualità, dal momento che di ciò non hanno una reale percezione, quanto perché inconsapevoli di quello che è il giusto valore d'acquisto di una bici di buona fattura.
Questo fa sì che vengano poste in commercio, soprattutto dai supermercati e dalla grande distribuzione, "biciclette" a prezzi assolutamente ridicoli, la cui funzionalità è ben al di sotto dei limiti imposti dalla decenza.
Per analogia si può immaginare un'automobile posta in vendita, nuova, ad un prezzo valutabile tra uno e due milioni di lire, con sgabelli al posto dei sedili, che percorra 3 km con un litro ad una velocità di crociera non superiore a 40 km l'ora e che cominci a cadere a pezzi subito dopo l'acquisto.
Nei paesi dove la cultura della bicicletta intesa come mezzo di trasporto su percorrenze medio lunghe è un fatto acquisito, Germania ed Austria in testa, non si trovano in commercio biciclette di caratteristiche analoghe a quelle che da noi vengono messe in commercio dalla grande distribuzione a prezzi stracciati, poiché gli acquirenti sono sufficientemente smaliziati da rifiutare un prodotto palesemente scadente, e tale merce non ha mercato.
Al contrario in Italia un forte disincentivo alla pratica del cicloescursionismo e del cicloturismo è dato, sulla base della nostra esperienza, dal basso livello qualitativo del parco bici circolante (o, più frequentemente, abbandonato in soffitte e cantine), che è causa di dolori articolari, fatica eccessiva, timore di guasti meccanici, e produce una conseguente disaffezione.
Muoversi in bicicletta: potenzialità di spostamento e trasporto
Dopo aver chiarito l'importanza di disporre di una buona bicicletta per apprezzare al meglio le potenzialità di tale tipologia di veicolo, è opportuno effettuare una disamina più precisa delle sue possibilità.
Cominciamo col dire che l'uso della bicicletta, in una qualsiasi delle sue varie tipologie, è alla portata di qualunque essere umano, fin dalla più tenera età (fatte salve, ovviamente, limitazioni causate all'apparato motorio da patologie estremamente disabilitanti).
La velocità tipica di spostamento in pianura per un ciclista adulto, anche in assenza di un allenamento specifico, si colloca sui 18 km/h, non sembri questo un dato troppo ottimista, dal momento che un atleta professionista è in grado di mantenere velocità superiori ai 40 km/h anche per molte ore di fila ed in presenza di dislivelli sensibili.
Per un normale ciclista "quotidiano" percorrere 5 km, che è la distanza entro la quale, ricordiamo, avvengono più del 50% degli spostamenti in ambito urbano, richiede tra 15 e 20 minuti, allo stesso modo 50 km, che sono una distanza di tutto rispetto, possono essere percorsi all'incirca in tre ore.
Appare evidente la non concorrenzialità della bicicletta nel campo degli spostamenti veloci sulle lunghe distanze, ma emerge per contro una enorme potenzialità nell'ambito degli spostamenti urbani, aumentando l'efficienza di spostamento sulle tratte brevi e contribuendo alla decongestione del traffico, oltre che per quelle che sono le esigenze di mobilità turistica, non afflitte da stringenti limitazioni temporali.
Sappiamo infatti, dagli studi operati nel settore, che nelle ore di punta la velocità media del traffico veicolare cittadino può scendere anche al di sotto dei 7 km l'ora, che è circa la metà della velocità media di un individuo che si sposti in bicicletta.
A questo va aggiunto il vantaggio derivante dal non dover cercare parcheggio, situazione che in molte realtà urbane rappresenta una delle maggiori perdite di tempo per chi effettua spostamenti brevi, e comporta sempre più frequentemente la sosta, pur temporanea, in doppia fila, con conseguenti restringimenti delle carreggiate ed ulteriore congestione del traffico.
Per quanto riguarda la capacità di trasporto (pensiamo alla spesa, ai libri scolastici o ad una tipica valigetta 24 ore da ufficio) va tenuto presente che un carico inferiore a 3 kg, se ben bilanciato e solidale al veicolo (ovvero su un apposito portapacchi), non è praticamente avvertibile, mentre un bagaglio compreso tra 5 e 10 kg, pur chiaramente avvertibile, non produce un drastico calo nelle prestazioni e può essere trasportato anche sulle lunghe distanze.
Tipicamente nei viaggi effettuati in bicicletta l'ordine di grandezza del bagaglio trasportato è compreso tra gli 8 e i 15 kg, con punte eccezionali fino a 25 kg e oltre, e questo non impedisce di percorrere, quotidianamente, tra i 50 e i 70 km su un percorso misto, ed ancora di più su percorsi completamente pianeggianti.
Probabilmente ad un automobilista una media di 60 km al giorno potrà sembrare bassa.
Questo perché l'automobile produce un tipo di turismo prevalentemente "stanziale", ovvero si sceglie un punto di sosta, nel quale si trova l'alloggio, e a partire da questo ci si sposta di giorno in giorno nelle località limitrofe, tornando la sera.
Se ciò offre il vantaggio di non dover disfare e rifare i bagagli ogni giorno, dall'altro obbliga a percorrere la strada due volte, una ad andare ed una a tornare, raddoppiando in pratica la percorrenza.
Tuttavia, nel caso del turismo in bicicletta, la "qualità" dello spostamento, è sicuramente più importante della "quantità".
In bicicletta si sta all'aria aperta, si pratica una forma moderata e piacevole di esercizio fisico, si ha il tempo di apprezzare il paesaggio visitato, nel quale si è immersi completamente e continuamente (e non solo tra uno spostamento e l'altro, quando si ha il tempo e la possibilità, in termini di spazi per la sosta, di fermarsi e scendere dall'automobile), si ha modo di apprezzare i dettagli.
In bicicletta è possibile fermarsi in qualunque punto, per godere uno scorcio, per studiare un edificio, per scattare una foto, mentre in automobile è possibile fermarsi solo quando la sede stradale lo consente, trasformando il viaggio in una frustrante costrizione all'immobilità, ed il paesaggio in un "qualcosa" che scorre via troppo in fretta dietro i finestrini.
L'affermazione della pratica cicloturistica in Italia soffre un grave ritardo, dovuto in gran parte alla scarsa diffusione delle conoscenze relative alla possibilità di effettuare lunghi viaggi in bicicletta.
Purtroppo la quasi totalità degli utilizzatori di tale veicolo, nel nostro paese, appartiene a tipologie o strettamente agonistiche (per le quali la sola idea di montare borse e portapacchi, quindi di appesantire il mezzo, è una bestemmia) o meramente ludico/vacanziere, entrambe mancanti di un'adeguata base culturale.
È da rilevare, inoltre, la nostra scarsa propensione nei confronti di un tipo di vacanza itinerante, essendo il turista italico, per le abitudini indotte dall'uso dell'automobile, prevalentemente stanziale.
Un discorso a parte riguarda gli utilizzi in ambito urbano.
Rileviamo, di nuovo, come il più forte disincentivo all'impiego della bicicletta negli spostamenti cittadini derivi dalla pericolosità intrinseca delle strade, prodotta dal traffico di veicoli motorizzati ed aggravata, spesso, da sistemazioni urbanistiche degradate e dallo stress che il guidare nel traffico produce sugli automobilisti.
Se è vero, infatti, che negli anni molti progressi sono stati fatti per quanto riguarda l'aumento delle misure di sicurezza tese a proteggere l'automobilista dalle conseguenze di incidenti stradali (pensiamo a cinture di sicurezza, air-bag, barre anti-intrusione nelle portiere, ABS) è pur vero che nessuna di tali misure è minimamente utile a proteggere gli altri, ciclisti e pedoni in testa, dalle conseguenze di un uso scorretto e pericoloso della strada da parte degli automobilisti.
L'unione fa la forza: il trasporto intermodale
In realtà i limiti teorici all'utilizzo della bicicletta sulle medie e lunghe distanze non sono poi così vincolanti come sembrerebbe a prima vista.
La bicicletta non è certo un veicolo in grado di competere direttamente con i mezzi motorizzati quanto a velocità di spostamento, ma i suoi margini di impiego aumentano esponenzialmente se essa viene impiegata in abbinamento ad altri mezzi di trasporto.
Esistono infatti due esigenze distinte che penalizzano il trasporto pubblico (collettivo) rispetto a quello privato, una riguardante la velocità di spostamento, l'altra la capillarità nella copertura del territorio.
I mezzi di trasporto collettivi pagano lo scotto di dover servire un'utenza multiforme e varia e di dover coprire un territorio necessariamente vasto, per cui gli spostamenti per essere veloci non possono essere capillari, e viceversa.
Per capirci, un treno, un autobus o un pullman possono anche essere molto veloci da una stazione, o un capolinea, all'altro, ma più tappe intermedie faranno, più la loro velocità diminuirà.
Il discorso vale ancor di più se i punti di partenza e/o di arrivo non coincidono con la linea di percorrenza, poiché in tal caso occorrerà usufruire di ulteriori mezzi di trasporto, e subire i tempi morti tra l'arrivo di uno e la partenza dell'altro.
Fin qui la carta vincente dell'automobile privata rispetto ai mezzi pubblici collettivi è stata rappresentata dalla capacità di questo mezzo di trasporto di rispondere ad entrambe le esigenze, il prezzo da pagare è stato che le nostre città si sono riempite di automobili lasciate in sosta, che restano inutilizzate per la maggior parte del tempo.
La bicicletta può però colmare in larga parte il limite strutturale dei mezzi di trasporto collettivi, restituendo la possibilità di essere capillari senza nulla sacrificare alla velocità.
L'esempio più classico, senza andare troppo lontano, ci viene dalla pianura padana, dove le stazioni ferroviarie hanno rastrelliere per le biciclette che vengono utilizzate quotidianamente.
La bici viene utilizzata per percorrere il tratto casa-stazione, ed una eventuale seconda bici, non necessariamente di ottima qualità (per ridurre il rischio di furti), può essere lasciata alla stazione di arrivo e servire la tratta stazione-posto di lavoro.
In Austria le ferrovie gestiscono in proprio punti di noleggio-ricovero per gli utenti fornendo bici robuste e complete di cambio, un vantaggio ulteriore consiste nella possibilità, pagando un piccolo sovrapprezzo, di riconsegnare la bici in una qualunque altra stazione ferroviaria.
Questo fermo restando che, sempre restando in Austria, il trasporto della bicicletta è garantito su quasi tutti i treni, con soluzioni che penalizzano il meno possibile l'impiego del materiale rotabile in assenza di biciclette, ad esempio sfruttando sedili reclinabili che possono ritrasformare il vano bici in un vano passeggeri.
L'abbinamento bici+treno, oltre che per l'utenza pendolare, rappresenta una risorsa fondamentale per lo sviluppo del cicloturismo, consentendo, a chi si trova in viaggio in un paese straniero utilizzando la sola bicicletta, di spostarsi da un'area all'altra con rapidità.
Sempre in Austria, Olanda, Danimarca e Germania, paesi tra i più avanzati per quanto riguarda lo sviluppo della mobilità ciclistica, si possono vedere portabiciclette sistemati all'esterno degli autobus, nella zona posteriore, e il trasporto delle bici è garantito sulle linee metropolitane.
L'Italia è invece, purtroppo, uno dei fanalini di coda: dopo molti anni di di confronto tra la F.I.A.B. (Federazione Italiana Amici della Bicicletta onlus) e i responsabili delle FF.SS. il trasporto delle biciclette è ancora limitato ai treni, in prevalenza interregionali, che hanno in composizione una vettura semipilota, mentre sugli altri, con l'eccezione degli "Eurostar", è accettata solo se smontata e collocata in una apposita sacca.
Bici e salute: un binomio vincente
Si potrebbe, a questo punto, analizzare nel dettaglio quanto l’andare in bicicletta faccia bene all'organismo, tuttavia la disamina di un argomento così vasto esula dalle intenzioni di questo articolo.
Le ricadute positive prodotte da un'attività fisica di bassa intensità, in una società come la nostra che tende sempre più alla sedentarietà, sono molteplici.
Si va dal miglioramento dell'efficienza dell'apparato cardiovascolare, al consumo di grassi e zuccheri, in grado di riportare a valori prossimi alla normalità forme di diabete anche gravi, al recupero di problemi articolari e riduzione delle funzionalità motorie causate da traumi o interventi chirurgici.
In più è una tra le forme di attività fisica meno traumatiche, necessitando unicamente di un lavoro fisico di tipo aerobico, moderatamente protratto nel tempo (questo escludendo, per ovvi motivi, le pratiche agonistiche e il "fuoristrada" estremo).
La bicicletta, rispetto ad altre forme di sport, presenta un ulteriore vantaggio: difficilmente annoia.
La possibilità di spostarsi, di viaggiare di vedere posti sempre nuovi, è in grado di stimolare la curiosità anche di chi non è attratto da pratiche sportive ripetitive, magari in ambienti chiusi e rumorosi, come è tipico delle palestre.
A fronte di una ridotta consapevolezza dei vantaggi derivanti da un'attività fisica moderata e, ribadiamo, non traumatica come quella prodotta dall'uso della bicicletta, esistono una quantità di pregiudizi e prevenzioni sui malesseri da essa prodotti.
Il timore più tipico è quello del dolore al sedere, causato inevitabilmente sia dalla totale disabitudine al sellino, sia dalla mancanza di allenamento.
Occasionalmente il problema si produce a causa della forma stessa del sellino, poiché è convinzione diffusa quanto erronea, che un sellino largo e soffice sia più adatto di uno stretto e moderatamente rigido.
L'inconveniente del fastidio al fondoschiena tende a ridursi drasticamente dopo poche uscite, a patto però di non lasciare intercorrere tra l'una e l'altra un lasso di tempo troppo lungo, e viene ulteriormente minimizzato, col miglioramento della forma, dal fatto che le gambe, nella fase di spinta, producono di per sé un parziale sollevamento del corpo dal sellino, riducendo lo schiacciamento anche senza dover utilizzare indumenti specifici (pantaloncini con pelle di daino).
I problemi più gravi vengono tuttavia prodotti da un uso incorretto del mezzo stesso, da una postura sbagliata in sella e dall'impiego di biciclette scadenti e/o inadatte.
Purtroppo l'acquirente non ha quasi mai il bagaglio culturale necessario a definire le caratteristiche ideali del veicolo, né i commercianti specializzati hanno sempre il tempo, la voglia, o la preparazione per istruirlo adeguatamente, per non parlare della grande distribuzione, il cui fine è realizzare la vendita della bicicletta ancora imballata, delegando all'acquirente operazioni di montaggio e messa a punto per le quali lo stesso non possiede, in genere, alcuna competenza specifica.
Il sistema per ovviare in parte a questi inconvenienti, trattandosi non già di giocattoli ma di potenziali mezzi di trasporto destinati, a norma del Codice della Strada, a condividere la carreggiata con gli altri veicoli, passa, a nostro parere, attraverso l'obbligo al fabbricante di fornire la bicicletta completa di libretto di istruzioni e manuale d'uso, come già avviene in altri paesi.
Tali manuali, come quelli forniti a corredo degli elettrodomestici, dovrebbero rispondere a precise specifiche ed essere approvati dagli uffici responsabili del Ministero dei Trasporti e del Ministero della Sanità, onde evitare che vi siano riportate informazioni erronee e fuorvianti, capaci di mettere a rischio la salute e l'incolumità dell'acquirente e degli altri utenti della strada.
Nello specifico andrebbero indicate l'altezza minima e massima raccomandate per l'eventuale utilizzatore, il posizionamento consigliato per le parti regolabili (sella e comandi), se il veicolo possiede una forma adatta ad un uso prolungato (ovvero ai soli fini di "passeggio"), se l'impianto frenante risulta adeguato ed in grado di fermare la bicicletta nel caso di raggiungimento di velocità elevate.
La conoscenza di queste minime informazioni consentirebbe di evitare la gran parte degli inconvenienti tipici del ciclista inesperto, riducendo di molto la disaffezione nei confronti di questo mezzo, troppo spesso usato male.
Bici e bambini: il diritto negato
Una fortissima quanto inascoltata domanda di mobilità ciclistica proviene proprio da bambini e preadolescenti.
Le statistiche, da qualche anno a questa parte, ci tratteggiano un ritratto decisamente inquietante delle condizioni dell'infanzia: bambini e ragazzi tendono a passare la maggior parte della giornata in ambienti chiusi, prima a scuola, poi in casa, spesso da soli fra giocattoli, computers, videogames e televisione.
Questo è causato sia dagli impegni lavorativi dei genitori, sia dalla pericolosità intrinseca degli ambienti urbani.
È storia recente l'uccisione di un bambino in bicicletta avvenuta alla periferia di Roma ad opera di un pirata della strada, ma il fatto paradossale è stato che l'avvocato difensore dell'assassino abbia contestato al genitore del bimbo morto il reato di "abbandono di minore"!
Il che è come affermare che ormai il livello di "normale" pericolosità delle nostre strade è tale che i bambini in età scolare richiedono una sorveglianza costante, e non sono liberi di andare in giro senza una adeguata "scorta".
Se da un lato questa logica aberrante probabilmente non passerà sul piano giuridico, dall'altro, purtroppo, è già stata introiettata dalla popolazione, col risultato che i bambini non vengono più lasciati uscire da soli.
Questo comporta pesanti ricadute sia sul piano fisico che psicologico, da un lato l'immobilità forzata sta producendo una generazione di bambini (e futuri adulti) sovrappeso, dall'altra il mancato confronto con l'esterno rischia di produrre personalità chiuse, fragili e scarsamente autonome.
Come la bicicletta possa influire positivamente nei termini di un riequilibrio di tale situazione è abbastanza ovvio, offrendo questo mezzo, a bambini ed adolescenti, risorse di mobilità ed autonomia, oltre all'esercizio fisico, del senso dell'equilibrio e delle capacità manipolatorie richieste per il suo utilizzo.
Meno semplice è trovare la maniera di consentire alle fasce di età più giovani di usufruirne.
Se infatti le strade cittadine, continuamente percorse dai veicoli a motore, sono percepite come rischiose dagli adulti per sé stessi, a maggior ragione lo sono per un bambino, per il quale possono diventare letali.
Diventa più che mai necessario, in questo caso, realizzare dei percorsi protetti in sede propria o mista ciclo-pedonale, e l'attivazione di strumenti di moderazione del traffico.
Inoltre sarebbe opportuno predisporre degli itinerari protetti casa-scuola, così da consentire a bambini ed adolescenti di recarsi quotidianamente a scuola da soli, senza dover dipendere dai genitori per spostamenti anche brevi (ed ottenendo un abbattimento significativo del traffico nelle ore di punta).
Automobili, traffico e qualità della vita
Come già accennato, il principale freno all'uso della bicicletta in città è causato dalla pericolosità intrinseca delle strade urbane.
Pur escludendo le strade a traffico intenso e sostenuto, va fatto notare come lo "stile" di guida degli italiani riesca a rendere pericolose anche le aree residenziali, e come alle norme di comportamento formalizzate nel Codice della Strada siano andate progressivamente a sostituirsi, tra l'indifferenza degli organi di controllo, svariate pessime abitudini dettate dall'inadeguatezza delle norme stesse alle attuali condizioni presenti negli agglomerati urbani.
In primo luogo la continua crescita del numero di automobili ha causato la progressiva saturazione degli spazi di sosta e parcheggio, problema quasi ovunque negligentemente trascurato dalle amministrazioni, con la conseguente impossibilità di trovare parcheggio ad una distanza "ragionevole" (e anche sul concetto di "distanza ragionevole" ci sarebbe da discutere) dalla propria abitazione.
Questo ha prodotto nel tempo l'instaurarsi di abitudini di illegalità diffusa, con fenomeni di "sosta selvaggia" in qualunque spazio disponibile anche se tecnicamente non abilitato a tal fine, come strisce pedonali, marciapiedi, aree preposte alla rimozione della nettezza urbana, margini stradali con l'indicazione di divieto di sosta.
Lo spazio occupato abusivamente dalle automobili produce spesso impedimenti ad usufruire dei marciapiedi agli stessi pedoni, ad esempio è abbastanza comune, nelle zone più densamente abitate delle città, che i genitori con bambini in passeggino siano obbligati a muoversi sulla sede stradale per l'impraticabilità dei marciapiedi, per non parlare di chi soffre di handicap motori.
A questo si aggiunge la sosta temporanea a margine degli esercizi commerciali, che sempre più spesso viene effettuata in doppia e tripla fila (e sempre più raramente perseguita), producendo continui restringimenti della carreggiata, notevoli rallentamenti alla circolazione degli altri veicoli e l'esasperazione di quanti vi transitano.
Sia ben chiaro, però, che non è nostra intenzione criticare l'uso dell'automobile, quanto il suo abuso, non già la circolazione delle autovetture, quanto la presenza di milioni di veicoli immobili che occupano, inutilmente, la gran parte degli spazi urbani.
Appare evidente come le tematiche inerenti la mobilità ciclistica urbana abbiano strettissimi punti di contatto con le considerazioni sulla qualità della vita nei centri urbani e la tutela degli utenti deboli della strada.
Negli anni passati la crescita del mercato dell'automobile e del trasporto su gomma ha fatto da volano alla crescita economica del paese, adesso, tuttavia, stiamo pagando un prezzo sempre più caro in termini di costi collaterali e di deterioramento delle condizioni di vita, e non solo nei centri urbani.
È indubbio, però, che in assenza di un impegno coerente di tutti i livelli della pubblica amministrazione, il trend attuale, lasciato a sé stesso, produrrà le inevitabili conseguenze già oggi riscontrabili in alcune megalopoli del terzo mondo, dove la proliferazione incontrollata del traffico veicolare causa quotidianamente la paralisi dei trasporti cittadini e livelli di inquinamento abnormi.
Provvedimenti a favore della mobilità ciclistica urbana
I passi da compiere sono perciò molti, e vanno in diverse direzioni.
In primo luogo occorre recuperare gli spazi che l'automobile ha nel tempo sottratto a tutti gli altri usi possibili degli spazi collettivi, da un lato perseguendo sistematicamente la sosta selvaggia, e dall'altro creando parcheggi e strutture in grado di ospitare i veicoli, man mano che si provvede alla ricollocazione delle vetture temporaneamente inutilizzate.
Questo andrà inevitabilmente a scontrarsi con i vizi e le cattive abitudini di parte della popolazione, abituata a trovarsi l'automobile sotto casa e ad utilizzarla finanche per andare a comprare il giornale, sarà quindi importante accompagnare tali provvedimenti con campagne di sensibilizzazione ed incentivi.
Bisognerà soprattutto evitare provvedimenti impopolari che prevedano costi aggiuntivi per il singolo, per esempio evitando di sostituire la sosta in strada, gratuita, con la sosta obbligata in un parcheggio a pagamento.
Occorrerà far comprendere che la "liberazione" degli spazi dalle auto in sosta è un vantaggio per tutti, ed i costi per le strutture collegate andranno distribuiti tra tutta la popolazione (semmai introducendo, ma solo in un secondo tempo e a fronte di un sensibile miglioramento della vivibilità nelle situazioni urbane, forme di tassazione indiretta limitata alle autovetture).
Un primo passo per rendere le strade più sicure va nella direzione di provvedimenti di moderazione del traffico, attraverso una risistemazione di strade, marciapiedi ed altre infrastrutture viarie, orientata a ridurre la velocità, e quindi la pericolosità, delle autovetture in transito.
La riduzione di velocità non si tradurrà necessariamente in un rallentamento complessivo della circolazione, in quanto diversi studi dimostrano che un traffico più lento ma fluido, comporta tempi di percorrenza inferiori e minori consumi rispetto alla situazione in cui brevi tratti vengono percorsi ad alta velocità per poi fermarsi ed ammucchiarsi poco dopo in presenza di strettoie o semafori.
In particolare andranno operati cambiamenti nella sistemazione delle strade delle zone residenziali, differenziando le arterie devolute allo spostamento dalle strade "di servizio" che portano alle abitazioni, ed imponendo su queste ultime un limite di 30 km/h, come le "zone 30" in Germania.
Lo spazio recuperato dalla "ricollocazione" delle auto in sosta potrà eventualmente essere riconvertito in corsie o piste ciclabili, mentre la riduzione della velocità delle automobili renderà le strade meno ostili a ciclisti e pedoni, consentendo ai più "coraggiosi" di cominciare a "riprendersi" gli spazi sottratti.
Questa è da considerarsi la soluzione più diretta al problema, tuttavia in quelle situazioni in cui non sia possibile provvedere in tempi rapidi alla ridislocazione del parco veicolare urbano un primo passo consisterà nel far rispettare le regole ed i divieti (provvedimento quantomai impopolare nel nostro paese...) multando e rimuovendo le auto in sosta d'ingombro.
Appare del tutto paradossale, dal punto di vista del semplice cittadino, come un'attività ad "alto introito" come l'emissione di multe per inadempienza alle leggi dello stato, in presenza peraltro di sistematiche violazioni delle stesse, sia gestita in maniera del tutto inefficace quando non colpevolmente trascurata od ostacolata da inutili burocratismi.
Non si comprende, ad esempio, l'utilità di compilare a mano moduli in quadruplice copia quando un sistema informatizzato portatile consentirebbe di operare con maggior velocità ed efficienza, e provvedere a comunicazioni tempestive all'utenza interessata, riuscendo, grazie all'abbattimento dei tempi di registrazione ed emissione, a ripagarsi dell'investimento iniziale in tempi brevissimi.
In molti casi, ribadiamo, sarebbe sufficiente far rispettare le regole esistenti come divieti di sosta, limiti di velocità, diritti di precedenza, per garantire condizioni di vivibilità perlomeno decenti.
Se vogliamo pensare la bicicletta nei termini di un mezzo di trasporto da utilizzare negli spostamenti casa-scuola e casa-lavoro, in mancanza di percorsi dedicati, occorrerà prevedere la possibilità di percorrere vie dirette, normalmente appannaggio di arterie ad elevato scorrimento.
Le soluzioni intraprese in altri paesi vanno nella direzione di un'integrazione del traffico ciclistico urbano con quello pedonale, anziché con quello motorizzato.
Buona parte delle piste e dei percorsi urbani sono infatti state tracciate direttamente sui marciapiedi o mediante l'allargamento di questi ultimi.
Questa soluzione, dai costi molto contenuti, è quella più auspicabile per la prima fase, anche se i marciapiedi italiani, anche se non occupati dalle auto in sosta, sono spesso troppo stretti e/o costellati di ostacoli di varia natura quali gradini, pali della luce, semafori, segnali stradali, cartelloni pubblicitari, contenitori per la spazzatura e via dicendo.
Una particolare cura andrà posta, in tal caso, alla realizzazione degli attraversamenti di strade a traffico motorizzato, prevedendo, se necessario, segnalazioni semaforiche specifiche per i ciclisti.
Anche a fronte di realizzazioni tali da consentire un maggior utilizzo della bici in ambito urbano, va purtroppo rilevata la scarsa simpatia che gli italiani manifestano nei confronti delle biciclette quando si tratti di parcheggiarle negli spazi condominiali, di trasportarle negli ascensori, di ricavare uno spazio all'interno delle case, di approntare rastrelliere, a differenza di quanto accade in altri paesi, dove questo mezzo è molto meglio integrato nella struttura del tessuto urbano e sociale e nella cultura degli abitanti.
Il turismo in bicicletta: un'opportunità di sviluppo e crescita economica
Un paese a vocazione turistica come il nostro non dovrebbe sottovalutare le opportunità offerte dal turismo in bicicletta, pratica molto diffusa soprattutto nell'Europa del centro-nord.
Per turismo in bicicletta, o cicloturismo, non va comunque considerato l'impiego meramente vacanziero, tuttora ben radicato nella cultura italiana, dove la bicicletta è impiegata per spostamenti brevi, tipicamente casa-spiaggia, o comunque in una connotazione ludico-ricreativa che ne mortifica le reali potenzialità.
Per cicloturismo si intende l'effettuazione di viaggi, più o meno lunghi, con tanto di bagaglio al seguito, utilizzando per gli spostamenti la bicicletta.
Il cicloturismo ha rappresentato uno dei modi preferiti di viaggiare tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento (si veda, a questo proposito, il piacevolissimo volume "Tre uomini a zonzo" di Jerome K. Jerome), vedendo tramontare le proprie sorti a causa di due guerre mondiali e, soprattutto, dell'avvento dell'automobile.
Raffreddati gli iniziali entusiasmi per il mezzo motorizzato, a causa degli elevati costi sociali e del pesante impatto sull'ambiente, in tempi recenti si è assistito ad una riscoperta di questo "antico" mezzo di locomozione.
In effetti, come già detto, le biciclette di oggi hanno ben poco di antico, e il confronto con quelle utilizzate dai personaggi descritti da Jerome K. Jerome è assolutamente impietoso.
Al giorno d'oggi, con un minimo di allenamento, ovvero "abitudine" all'uso della bicicletta, non tanto prestanza fisica quanto l'essere in grado di pedalare con continuità, anche a bassi regimi, è possibile effettuare viaggi su lunghe distanze a qualunque età.
Lunghe distanze, in questo caso, significa fra 300 e 500 km a settimana, distanze che un automobilista può anche percorrere in un sol giorno, ma senza aver tempo e modo di visitare i luoghi attraversati, partendo dal presupposto, se non si vuole escludere nessuno, che il percorso non comprenda lunghe salite.
Il turista in bici ha esigenze poco dissimili da quelle di qualunque altro viaggiatore in termini di vitto e alloggio, con la principale differenza, rispetto a quella che è un po' l'abitudine nazionale, che preferisce spostarsi, e quindi dormire ogni notte in una località diversa, anziché stazionare per più giorni nella stessa località (questo fatto viene in genere malvisto dagli albergatori che, se la stanza viene richiesta per una sola notte, tendono ad applicare sovrapprezzi o, in casi limite, arrivano a rifiutare l'alloggio).
Il fatto di utilizzare un veicolo a propulsione muscolare, peraltro appesantito dai bagagli, comporta tuttavia delle specificità.
Il cicloturista, a differenza dei viaggiatori "motorizzati", trae il suo godimento dallo spostarsi da una località all'altra e spende in ciò una parte consistente del proprio tempo, tende quindi ad avere un'attenzione maggiore del turista motorizzato per il contesto ambientale attraversato, piuttosto che per le città d'arte visitate, anche quelle di forte richiamo turistico.
Sono preferite le strade secondarie poco trafficate e gli itinerari che non comportino continui saliscendi (anche se un bel valico, magari panoramico, per passare da una valle all'altra, è in genere ben accetto, o comunque tollerato anche dai meno "in forma").
Il turista in bicicletta apprezza le sistemazioni "frugali", quali agriturismi e bed-and-breakfast, più degli alberghi a quattro stelle, perché predilige il contatto diretto con le persone e gli abitanti dei paesi attraversati, ed ha in generale una "formazione" di impronta ecologista.
In compenso spende volentieri per cibi e vivande, mangiando con appetito per reintegrare le calorie bruciate nel corso della giornata.
Di fatto la presenza di un'utenza turistica in bicicletta rappresenta una potenziale risorsa economica molto più per le aree rurali (lontane dalle grosse vie di comunicazione, prive di attrattive per il turismo "mordi e fuggi" ma ricche di bellezze naturali, oasi verdi, parchi, tradizioni gastronomiche) che non per le megastrutture turistico/vacanziere del turismo massificato che ci vengono quotidianamente pubblicizzate dai mass media..
Questa realtà, in Italia, è stata già recepita da alcune aree a turismo "evoluto".
Per citare un esempio, nel Chianti, zona caratterizzata da una massiccia presenza straniera e da un'offerta alloggiativa quasi esclusivamente di "fascia alta", tour operators americani propongono pacchetti vacanza in bicicletta ai loro connazionali, con guide in bici e trasporto dei bagagli a cifre nell'ordine del milione di lire al giorno (esorbitanti rispetto alla media ma segno di un interesse non limitato ad un mercato "povero").
Azioni per l'incentivazione del cicloturismo
L'esperienza iniziata anni fa dal governo austriaco con la Donauradweg, la pista ciclabile del Danubio, ha fatto scuola, dimostrando che un percorso studiato appositamente per trascorrere le vacanze in bicicletta può rappresentare una forte attrattiva per una fetta significativa del mercato turistico.
La ristrutturazione del sentiero sterrato in disuso (treppelweg) utilizzato in passato per il transito degli animali che trainavano le chiatte a risalire il Danubio, è oggi una tra le principali risorse economiche dell'intera regione, veicolando, in alta stagione, il transito di migliaia di persone ogni giorno.
Da noi, da ormai più di un decennio, lavora su queste tematiche la Federazione italiana Amici della Bicicletta (F.I.A.B.) onlus, una o.n.g. nata dal coordinamento di associazioni che hanno come obiettivo la promozione dell'uso della bicicletta in ambito urbano e con finalità turistico/ambientali, ricevendo purtroppo scarsa attenzione da parte delle istituzioni, ad esclusione di realtà locali particolarmente sensibili all'argomento.
Si è partiti dalla considerazione che una grossa attrattiva per i cicloturisti è la presenza di itinerari segnalati per proporre dapprima la "Ciclopista del Sole" (abbr.: CPS), un itinerario ciclabile che percorre da nord a sud tutta la penisola, già in avanzato stato di realizzazione, e più recentemente la rete nazionale "Bicitalia" che ne rappresenta la logica evoluzione.
La CPS non nasce come una "pista ciclabile" in senso stretto, sebbene questa potrà essere nel tempo la sua naturale evoluzione, quanto come un itinerario ciclabile tracciato sulla base della viabilità secondaria già preesistente sul territorio (individuata cercando di conciliare le esigenze di minimo traffico, elevato valore storico/paesaggistico dei territori attraversati e ridotte variazioni plano/altimetriche) che dal valico del Brennero discenda la nostra penisola fino a Roma per proseguire in direzione sud verso la Sicilia.
Questo tracciato è stato inserito dai responsabili del progetto Eurovelo fra gli itinerari transnazionali di interesse europeo, ed insieme alla quasi parallela "Via Francigena" (anch'essa in via di completamento, almeno nei termini di definizione cartografica del tracciato) fa ormai parte del pacchetto di itinerari ciclabili che fra pochi anni attraverserà l'Europa da un capo all'altro.
Dopo la fase di tracciatura e la pubblicazione delle carte relative, occorrerà procedere all'apposizione di una segnaletica specificamente indirizzata ai ciclisti, riservando per una fase successiva la realizzazione di tratti di pista ciclabile in sede propria nei punti più critici.
In merito alla segnaletica esiste tuttora un problema, soprattutto per le amministrazioni che decidono di sviluppare sul proprio territorio interventi in favore della mobilità ciclistica, determinato dal fatto che il codice della strada italiano non contempla un tipo di segnaletica specifica per le biciclette.
Come è ovvio, almeno per chi ha viaggiato all'estero, dove questo tipo di infrastrutture rappresentano la norma, la bassa velocità dei ciclisti consente di limitare le dimensioni dei cartelli segnaletici, così da avere un minimo impatto visivo e ridurre le spese necessarie alla fabbricazione degli stessi.
Laddove un'automobilista in movimento a 70 km/h ha necessità di cartelli grandi, che siano visibili anche da molto lontano, ad un ciclista che si muova a 15 km l'ora può essere sufficiente una segnaletica di gran lunga meno invasiva, e di bassissimo impatto estetico ed economico.
Ad esempio, la tipica segnalazione impiegata in Austria e Germania ha dimensioni di 10x20 cm circa e riporta un riquadro con il simbolo che individua l'itinerario percorso e una freccia per indicare la direzione, ai quali si aggiunge, di tanto in tanto, l'indicazione del nome della località più vicina.
In Olanda, paese non a caso definito "il paradiso dei ciclisti", la rete viaria nazionale di piste ciclabili è completamente separata da quella per gli autoveicoli (e quasi altrettanto estesa!), e dispone di segnalazioni molto precise e puntuali, realizzate sia con i classici cartelli collocati su pali, sia, soprattutto in presenza di incroci, mediante piccole pietre miliari quadrate, a forma di fungo, su ogni lato delle quali sono riportate le località più vicine (nella rispettiva direzione) e le distanze in km.
Va ribadito che l'impegno nella realizzazione di questo tipo di infrastrutture viene rapidamente ripagato dal flusso turistico, e non limitatamente al periodo delle ferie in quanto la pratica del cicloturismo/cicloescursionismo può essere svolta anche semplicemente nei fine settimana, e proprio a questo riguardo va ribadita l'importanza del poter trasportare le biciclette sui treni.
Inoltre il turista in bicicletta ha necessità, per muoversi sul territorio, di materiale cartografico ed informativo molto più dettagliato, nei termini di indicazioni di distanze, di dislivelli, di strade secondarie, di quanto non occorra ad un qualunque automobilista, questo per meglio pianificare gli spostamenti in base alle proprie forze (o a quelle del meno allenato del gruppo), sia per poter cambiare programma in seguito a problemi di qualsiasi natura.
Proprio a questo riguardo va rilevata l'assenza, o comunque la difficile reperibilità, di carte del territorio italiano in scala 1:100.000 e 1:50.000 di sufficiente dettaglio, contrariamente a quanto avviene in altri paesi.
Interventi strutturali sul territorio
La bicicletta ha dalla sua, rispetto ad altri veicoli, l'estrema compattezza e leggerezza, di conseguenza anche le strutture da approntare per facilitarne l'utilizzo possono essere "leggere" e molto economiche.
Purtroppo, in un paese come il nostro, cresciuto intorno all'automobile e al trasporto "pesante", si è un po' persa la capacità di progettare strutture leggere per veicoli di minimo impatto come le biciclette.
Il risultato è che si finisce con lo spendere centinaia di milioni per realizzare tratti magari brevi di pista ciclabile in sede propria in ambito urbano, laddove sarebbe più utile e meno costosa, ad esempio, la risistemazione dei marciapiedi in funzione di un utilizzo misto ciclo/pedonale.
Anche per quanto riguarda strutture di attraversamento quali ponti e cavalcavia, spesso i progetti vengono bocciati perché prodotti con la stessa logica degli svincoli autostradali, e quindi sovradimensionati, per prezzo, robustezza ed impatto ambientale, alle necessità dei ciclisti.
Abbiamo potuto ammirare, sempre in Austria e Germania, strutture leggerissime in tubolare metallico e assicelle di legno, talvolta ancorate alle realizzazioni per il traffico pesante (sul fiume Salzach, nei pressi di Salisburgo, c'è un punto in cui i tratti di pista ciclabile sulle due rive sono raccordati da un passaggio sospeso, ricavato al di sotto del ponte della ferrovia).
In maniera analoga l'usura e le sollecitazioni prodotte sul manto della pista stessa sono minime al confronto con quelle che devono sostenere le strade sulle quali transitano camion, TIR e/o trattori cingolati, di conseguenza sono possibili realizzazioni in terra battuta, o con un'asfaltatura molto sottile, senza il rischio di un precoce deperimento.
Spesso è addirittura possibile realizzare itinerari lunghi e molto piacevoli semplicemente individuando, e segnalando, tratti di viabilità secondaria poco o nulla trafficati, realizzando il massimo del risultato con il minimo sforzo.
LEGENDA
Linee guida FIAB, pubblicazione FIAB (schede, quaderni), pubblicazione di altri Enti redatta da FIAB.
Documento redatto da un tecnico e/o esperto della FIAB, non ufficiale FIAB.
Documento redatto da associazioni aderenti a FIAB o suoi membri.
Documento di persone o ente esterno alla FIAB, segnalazione documentazione presente in rete.
Documento esterno alla FIAB, segnalazione documentazione presente in rete. In Inglese.
Mentre il primo genere esprime posizioni ufficiali della FIAB (o comunque si tratta di uno "studio" promosso dalla FIAB), tutti gli altri possono essere validi contributi ma che a volte rispecchiano anche elementi non condivisi e/o oggetto di dibattito e di valutazioni diverse (non sempre strettamente tecniche).